Il caso Provenzano e l’Italia al contrario
Il caso Provenzano e l’Italia al contrario
Parliamo di 41 bis, il carcere duro dedicato ai peggiori criminali, l’isolamento meritato dai soggetti più pericolosi della nostra società, quelli che una volta messi dentro, vanno solo buttate via le chiavi.
Il fatto è che il 25 ottobre 2018 la Corte Europea dei Diritti Umani condanna l’Italia per avere rinnovato il regime carcerario speciale a Bernardo Provenzano nei suoi ultimi giorni di vita (23 marzo – 13 luglio 2016) e subito scoppiano le polemiche.
Salvini se la prende con l’ennesimo baraccone europeo che vorrebbe sostituirsi agli Italiani nel decidere di tenere in galera chi è condannato a più ergastoli per decine di omicidi mentre Di Maio difende il 41 bis come strumento irrinunciabile per combattere le mafie giacchè esiste una sola inumanità, quella del feroce assassino verso le sue vittime.
Altri invece più semplicemente vorrebbero riconosciuto a ogni uomo, anche a un sanguinario padrino corleonese capo di Cosa Nostra, il diritto di morire nel proprio letto circondato dall’affetto dei cari.
Rabbia o pietà? Vendetta o giustizia?
La questione, se scevra da strumentali connotazioni polemiche, si riduce però al semplice rispetto delle nostre procedure di ordinamento penitenziario.
Infatti il carcere duro e il suo peculiare regime di isolamento, sia quando viene disposto per i primi 4 anni, sia quando viene poi eventualmente prorogato di 2 anni in 2 anni, pretende per legge n.354/1975 art.41 bis un apposito decreto del Ministro della Giustizia a completamento di una complessa istruttoria dalla quale risulti per il carcerato “la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale”.
E’ poi la Cassazione penale, da ultimo con sentenza n.32405 del 23/2/17, a ritenere che l’aggravamento delle condizioni di salute anche unitamente all’età particolarmente avanzata del detenuto possono incidere sulla legittimità della proroga del regime carcerario differenziato, sia con riguardo al divieto di realizzazione di un trattamento inumano o degradante, sia con riferimento all’analisi della condizione di attualità della pericolosità del recluso in rapporto alla necessaria inibizione di contatti potenzialmente criminogeni.
Così la Corte Europea dei Diritti Umani – che pure che si trova a Strasburgo, non fa parte dell’Unione Europea ed è un organo giurisdizionale internazionale – non solo non boccia il 41 bis per essere un trattamento carcerario inumano e degradante, ma respinge la richiesta dei familiari di risarcimento danni morali per 150.000/00 euro e addirittura ritiene che Provenzano, pure che gravemente malato e in età avanzata, ben poteva essere detenuto in carcere dove la sua salute e il suo benessere sono stati salvaguardati.
Pertanto nulla di straordinario se la Corte ritiene sussistere la violazione dei diritti umani per avere l’Italia prolungato il regime speciale in assenza di una valutazione da parte del Ministro di Giustizia dello stato mentale di Provenzano.
Del resto quando le funzioni cognitive sono deteriorate al punto da ridurre un uomo a vegetale, come può questi “collegarsi” ad un sodalizio criminale?
Nessuno si scandalizzi dunque per la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani, quanto piuttosto del fatto che ancora oggi, a distanza di 32 anni da che è nato il 41 bis per fronteggiare “situazioni di emergenza”, si debba ricorrere a misure straordinarie per ciò che dovrebbe essere l’ordinario nella detenzione, impedire un detenuto da dentro la galera continui la propria attività criminale esterna al carcere.
Porto San Giorgio, li 28/10/18.
Avv. Andrea Agostini