LE MARCHE SCOPRONO IL CAPORALATO
LE MARCHE SCOPRONO IL CAPORALATO
Immigrati a 12 ore di lavoro al giorno con tariffa oraria di 5 euro per i braccianti agricoli di Recanati e Montelupone o di 2,90 euro per i distributori di materiale pubblicitario di Civitanova Marche.
E’ così che in questi giorni le Marche ed in particolare la Provincia di Macerata, grazie all’attività meritoria della Procura della Repubblica, si scopre terra di caporalato.
Una realtà criminale, che i più credevano caratterizzante solo il lavoro nei campi del Sud Italia, è invece presente anche tra noi dove aziende marchigiane, per il tramite di un intermediario tra domanda e offerta di lavoro, illecitamente lucrano sullo sfruttamento di manovalanze sottopagate.
La giustizia farà certamente il suo corso, ma a mio avviso esso non sarà agevole.
Infatti l’applicazione dell’art.603 bis del codice penale, dal legislatore introdotto nel 2011 e novellato nel 2016 per combattere l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, se ha il merito di avere ampliato la portata della fattispecie criminale, prevedendo pure a prescindere dall’intervento del caporale la punibilità anche del datore di lavoro, e quindi di avere dato così la stura a più denunce e indagini e arresti, ritengo abbia proprio nella sua genericità, un vero e proprio limite applicativo.
Lo sfruttamento viene infatti caratterizzato attraverso il ricorso ad indici di riferimento, che però lasciano adito ad interpretazioni estensive e quindi ad eccessivi margini di discrezionalità di azione da parte degli organi di vigilanza prima e della magistratura poi.
Quando la retribuzione può dirsi “palesemente” difforme dai contratti collettivi?
Quali sono le violazioni delle norme sull’orario di lavoro o in tema di salute e sicurezza che possono travalicare l’illecito civile o amministrativo per assurgere a rilevanza penale consistente nello “sfruttamento” del lavoratore?
Cosa può fare ritenere “degradante” la condizione di lavoro, il metodo di sorveglianza, la situazione alloggiativa?
Dalla risposta a queste domande deriva una perimetrazione di fuoco, che va dalla riduzione in schiavitù a mere violazioni di leggi di tutela dell’occupazione e del mercato del lavoro, troppo ampia per cogliere nel segno di una giusta lotta al caporalato, senza con ciò rischiare, nell’attesa istruttoria di una condanna forse a venire, di mettere in ginocchio le più svariate realtà aziendali e occupazionali.
Penso a sequestri di beni e mezzi, alla perdita come allo sbarramento all’accesso a finanziamenti pubblici e benefici economici vari, al danno di immagine e quindi alla perdita di avviamento commerciale, quali conseguenze di un’azione investigativa anche la più meritevole, che se non perfettamente calibrata può essere di gran danno all’economia di ciascuno.
Ciò può essere evitato solo da un prossimo ulteriore intervento legislativo statale o finanche regionale – e in questo senso le Marche sono latitanti mentre altre regioni, da ultimo il Lazio con legge regionale 14 agosto 2019 n.18 si stanno adoperando – che possa dare risposta ai quesiti sopra posti.
La ministra delle Politiche Agricole Teresa Bellanova a Bra nei giorni scorsi ha dichiarato che “la legge contro il caporalato è giusta e funziona” e che intende “lottare a testa bassa”.
Bene, che lotta al caporalato sia, ma per le imprese e per il lavoro che esse garantiscono, che ciò avvenga piuttosto a testa alta con l’impegno della politica ad una determinazione più stringente della norma incriminatrice, meglio caratterizzante l’illecito penale.
Porto San Giorgio, FM, li 22/9/19.
Avv. Andrea Agostini