Meno panchine e scarpe rosse, più tutele per le donne
Meno panchine e scarpe rosse, più tutele per le donne
Il 25 novembre è la giornata contro la violenza sulle donne ed è tutto un concentrarsi di convegni e di celebrazioni, cortei e installazioni, volte alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica verso un problema reale dai risvolti drammatici.
Nel 2018 nel nostro Paese ogni 72 ore una donna è stata uccisa perché il suo comportamento non ha risposto alle aspettative di un uomo, solitamente il coniuge, l’amante, l’ex partner.
Femminicidi familiari, femminicidi di coppia, femminicidi quindi non imprevedibili e inevitabili anche perché spesso preceduti da denunce o segnalazioni per maltrattamenti.
Sono dunque le richieste di aiuto inascoltate a determinare la morte di tante donne.
Dobbiamo allora chiederci se sia questione di difetto di sensibilità culturale o piuttosto di mancanza di strumenti operativi.
Ebbene solo questa settimana si sono rivolte al mio studio due donne.
Una con figli asserisce di essere picchiata dal marito, l’altra disabile sostiene di subire violenza sessuale dal convivente.
Penso allora alle due soluzioni giuridiche di pronto intervento giudiziario che offre il nostro sistema.
La prima è l’ammonimento del Questore antecedente la formalizzazione di una querela per atti persecutori (cosiddetto stalking) affinchè l’uomo tenga una condotta conforme alla legge (art.8 DL 23/02/2009, n. 11), ma all’atto pratico bisogna interrogarsi su cosa accadrà alla donna al rientro di lui in casa di ritorno dagli uffici di pubblica sicurezza dove sarà stato preventivamente chiamato a rendere chiarimenti per la necessaria istruttoria del caso.
La seconda è l’allontanamento del soggetto violento dalla casa familiare, come dai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, tanto in sede civile, quale ordine di protezione contro gli abusi familiari (art.342 bis e ter c.c.), quanto in sede penale, quale misura precautelare ugente (art.384 bis c.p.p.) – che però pretende si colga taluno in flagranza di reato-, o piuttosto quale misura cautelare (art. 282 bis c.p.p), cui magari si accompagni pure l’ingiunzione di corrispondere alla donna un assegno di mantenimento, ma l’esperienza insegna che spesso né lui, né lei hanno proprietà o redditi e quindi non si comprende non solo come possa darsi in concreto attuazione pratica ai disposti normativi, ma soprattutto quali sarebbero le tutele efficaci disposte dall’ordinamento in caso di violazione dell’obbligo.
Qualunque strumento io scelga, esso non prevede la soluzione più rapida e sicura ossia che sia la vittima a lasciare le pareti domestiche.
La messa in sicurezza della donna, prima che dalla repressione del violento, passa per l’allontanamento della vittima da questi.
Si deve dunque operare perché si dia immediata disponibilità di soluzioni abitative urgenti e temporanee, nell’attesa si compia un percorso pubblico di sostegno alla donna fintanto che questa si renda in ogni senso autonoma dall’uomo da cui fugge.
Ciò pretende investimenti nel sociale, non l’acquisto di panchine e scarpette colorate.
Porto San Giorgio, li 25/11/18.
Avv. Andrea Agostini