QUALE RIFORMA DOPO IL CORONAVIRUS
QUALE RIFORMA DOPO IL CORONAVIRUS
“A seconda della qualità del sistema regionale che trovi, rischi di avere una speranza di vita differenziata”.
E’ con questa argomentazione che nei giorni scorsi il vicesegretario del PD Andrea Orlando ha detto che “dopo la crisi per il coronavirus, e traendo una lezione da quanto successo, bisognerà cominciare a pensare se sia il caso di far tornare in capo allo Stato centrale competenze come la Sanità”.
Ma è davvero questa la riforma di cui abbiamo bisogno?
In verità a livello costituzionale lo Stato ha già la responsabilità intera del sistema sanitario nazionale e dell’emergenza sanitaria.
Infatti la tutela della salute e il coordinamento della finanza pubblica spettano sì alle regioni, ma i principi fondamentali li detta lo Stato (art.117 co.3 Cost.).
La ragione è semplice. Si vuole garantire a ogni regione un’adeguata distribuzione delle risorse economiche e a ogni italiano uno standard minimo di servizi sanitari.
In altre parole lo Stato condiziona minuziosamente la spesa e i servizi nel campo sanitario.
Ne sono prova i Piani di Rientro – strumenti finalizzati a verificare la qualità delle prestazioni sanitarie e a raggiungere il riequilibrio dei conti dei servizi sanitari regionali – in cui sono impegnate 7 regioni (Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise Puglia e Sicilia), di cui 4 commissariate (Campania, Lazio, Molise e Calabria).
A ciò si aggiunga che “il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, nel caso di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica” (art.120 comma 2 Cost.).
Ma questo non è accaduto.
Anzi il Governo non solo ha gestito l’emergenza riducendosi a inseguire le ordinanze di Presidenti di Regione e Sindaci, ma ha anche preferito al decreto legge, strumento costituzionalmente dedicato (art.77 commi 2,3 Cost.), il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, una normativa di secondo livello, un atto non legislativo, ma amministrativo, che esclude dal confronto la minoranza parlamentare.
Scelte di sopravvivenza di un Premier debole perché privo di forza, tanto popolare per non essere stato eletto direttamente dai cittadini, quanto di governo perché condizionato da sempre variabili geometrie parlamentari.
Ciò a differenza di Presidenti di Regione e Sindaci, non nominati ma eletti, quindi forti della fiducia personale dell’elettore e capaci di un mandato sostanzialmente stabile per 5 anni.
Allora alla luce del dettato costituzionale e dell’esperienza coronavirus forse la riforma necessaria non è quella indicata da Andrea Orlando, ma un’altra.
Abbiamo infatti toccato con mano che un Presidente del Consiglio, nominato, peraltro già al secondo governo in meno di 2 anni, pure avendone i poteri di legge, non tiene il passo e soprattutto non riesce a dettare con autorevolezza in Italia e in Europa la linea da seguire per superare l’emergenza.
Pertanto se la pandemia insegna qualcosa è che abbiamo bisogno di una riforma elettorale che preveda l’elezione diretta del Presidente del Consiglio con garanzia di stabilità di governo per un quinquennio, come per i governatori regionali e i sindaci.
Porto San Giorgio, FM, li 12/4/2020.
Avv. Andrea Agostini