TRUMP E LA LIBERTA’ DI PAROLA CHE SUL WEB NON ESISTE
TRUMP E LA LIBERTA’ DI PAROLA CHE SUL WEB NON ESISTE
Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump zittito da Facebook e Twitter che ne hanno sospeso a tempo indeterminato l’account, la voce.
L’accusa, che è al tempo stesso condanna esecutiva, da parte di Zuckerberg & co., è di incitazione alla violenza.
Molti gioiscono, altri non si curano della notizia, io invece mi domando chi abbia il diritto e su quali parametri di poter giudicare le parole altrui, interpretare il pensiero, prevedere le intenzioni fino a valutare i contenuti e farne censura?
Credo ci sia molto su cui riflettere.
Prendiamo come spunto due vicende contestuali alla precedente, ma di casa nostra e pure apparentemente diverse tra loro.
La prima. Renzi contesta il Premier Conte sfiorando sempre più da vicino la crisi di governo ed ecco che online impazzano le caricature del fiorentino che stenta in inglese proprio mentre la Von der Leyen parla di negoziato molto positivo sul Recovery con l’Italia.
La seconda. Il Presidente della Regione Marche Acquaroli comunica ai corregionali che la settimana entrante saremo in zona gialla.
In entrambi i casi abbiamo che i social costituiscono una rete sociale di comunicazione a valenza pubblica, la cui privazione impedisce il dibattito politico e con esso il pluralismo espressivo.
Certamente quando mi iscrivo a un social sono tenuto ad accettare le regole dettate dalle condizioni di uso e dagli standard della community cui aderisco e pertanto so di poter incorrere in caso di violazioni in sanzioni di gravità crescente (rimozione di contenuti, sospensione del servizio, disabilitazione dell’account), ma la mia libertà di parola può essere rimessa alla discrezionalità di un miliardario o comunque di un’azienda e di azionisti che rispondono a logiche di mercato?
Se pensiamo la piattaforma digitale come un privato intermediario nella circolazione di beni e servizi, ecco che tutto si risolve in termini di autonomia contrattuale e quindi il provider non è obbligato a concedersi a tutti, in special modo a chi, accettate le condizioni di uso, non le rispetta.
Ma la questione non è meramente privata, essa non si risolve nel rapporto tutto commerciale tra imprenditore e consumatore della rete.
Infatti le big tech godono di sostanziale immunità da responsabilità per i contenuti degli utenti (Section 230 del Communications Decency Act of 1996; artt.16,17 Decreto Legislativo 9/4/2003, n. 70).
In altre parole Facebook e Twitter per legge non sono considerati editori e pertanto non sono chiamati a rispondere dei contenuti dei miei scritti, come di quelli del Presidente Trump.
Nonostante l’irresponsabilità, però essi esercitano potere di censura.
In Italia il precedente più noto ed anche assai recente è quello della disattivazione della pagina Facebook di Casapound Italia, che ha visto poi quest’ultima in sede cautelare ottenere di urgenza dal giudice adito la riattivazione del servizio (Tribunale Roma Sez. spec. in materia di imprese Ord., 12/12/2019).
Ma delle due l’una.
O Facebook e Twitter rispondono dei contenuti e allora hanno il diritto / dovere di rimuoverli, o non ne rispondono e la censura diviene arbitrio.
Quando è in gioco la libertà di parola non esiste che un privato si arroghi il diritto di decidere per me cosa posso o non posso dire.
Sarà un giudice, a seguito di istruttoria, ad accertare l’illiceità delle mie dichiarazioni, quindi a disporre le sanzioni del caso.
In democrazia, si intende.
Porto San Giorgio, FM, li 10/1/2021.
Avv. Andrea Agostini