L’OMICIDIO STRADALE di GAIA e CAMILLA e la STRATEGIA LEGALE del DUBBIO
L’OMICIDIO STRADALE di GAIA e CAMILLA e la STRATEGIA LEGALE del DUBBIO
Gaia e Camilla sono le sedicenni la cui vita è stata falciata via a Corso Francia, Roma, nella notte tra il 21 e il 22 dicembre scorso, da un Suv guidato dal ventenne Pietro.
La vicenda è assolutamente drammatica e concernendo due minorenni vittime di un giovane poco più grande di età, peraltro figlio di un noto regista, assurge subito agli onori della cronaca, cui segue una quotidiana attenzione mediatica.
Ogni 35 ore muore un ciclista, ogni 14 ore muore un pedone, ogni 3 ore comunque si muore sulle strade italiane eppure mai ho avvertito forte come in questo caso la pressione sull’opinione pubblica.
Pietro, tornato da poco in possesso della patente di guida che gli era stata sospesa per possesso di droga, presenti tracce di sostanze stupefacenti nel sangue, guida in stato di ebbrezza alcolica, 1,4 g/l, superando il limite di velocità consentito, quando investe Gaia e Camilla.
Al fatto segue la narrazione.
Pietro non è un criminale, non è un pazzo ubriaco e drogato al volante, ma semplicemente un giovane in auto con amici di ritorno da una festa, che accetta di buon grado gli arresti domiciliari perché stravolto sente addosso fortissimo il dolore suo e della famiglia, tutti involontari protagonisti di una vicenda che li segnerà per sempre.
Del resto l’autore dell’investimento stradale, non fugge, ma si ferma, pure che qualche centinaio di metri dopo, per prestare l’inutile soccorso a due minorenni, magari uccise dal successivo impatto con altre auto, e comunque purtroppo responsabili o almeno corresponsabili della loro morte.
Infatti l’impatto era forse inevitabile, se è vero che le due minorenni hanno improvvidamente attraversato d’impeto l’assai trafficata arteria stradale in orario notturno e con pioggia intermittente addirittura di corsa, abbracciate, magari scavalcando un guard rail, forse lontano dalle strisce pedonali o comunque con il rosso pedonale.
Ma attenzione, il semaforo pedonale non prevede il giallo e va direttamente dal verde al rosso in pochi secondi e subito partono le auto e tra queste c’è una smart, che è riuscita ad evitare l’investimento delle due ragazze.
Credo sia elementare che prima di esprimere un giudizio su come siano andate realmente le cose, si dovrà attendere l’esito della perizia cinematica della Procura della Repubblica, ma allora a cosa stiamo assistendo?
Non è la solita spettacolarizzazione del processo penale dal quale siamo ben lontani, visto che le indagini stanno muovendo solo ora i primi passi.
Neppure è la solita strumentalizzazione del reato perché nessuno discute del fatto che l’omicidio stradale, come introdotto nel 2016, è una norma speciale di nessuna efficacia deterrente, che le morti stradali in questi anni sono aumentate, invece che diminuite.
Si tratta piuttosto di una sottile, sempre più diffusa, strategia difensiva operata da avvocati sempre più avvezzi nell’utilizzo dei media a volte a favore delle parti civili, ma più spesso a favore del presunto autore del reato.
Il giudice e il pubblico ministero vivono nel mondo reale, immersi in una collettività che come loro vive il flusso continuo della comunicazione, fino a subirne anche inconsciamente i condizionamenti.
I media sollecitano e dividono l’opinione pubblica.
Avanti ai televisori tutti a voler accertare in fretta la verità mentre innocentisti e colpevolisti si danno battaglia.
La realtà è fatta però di tempi processuali che non sono quelli delle serie televisive e di una giustizia che pronuncia condanna, solo quando la responsabilità del presunto autore del reato viene accertata al di là di ogni ragionevole dubbio.
Signore e signori ecco a voi servita la strategia legale del dubbio dove una narrazione compiacente abbandona il dovere di cronaca e il diritto di informazione per rendersi strumento di suggestione.
Mi domando allora quanto tutto ciò possa garantire un giusto processo.
Porto San Giorgio, FM, li 5/1/20.
Avv. Andrea Agostini