UNTORE AI DOMICILIARI: I TIMORI DELLA VITTIMA
UNTORE AI DOMICILIARI: I TIMORI DELLA VITTIMA
“Potrei trovarmelo davanti”, è questo grido di dolore che più mi ha colpito della denuncia video di Romina Scaloni in reazione alla notizia che Claudio Pinti continuerà a scontare la misura cautelare personale non più in carcere, ma agli arresti domiciliari.
L’uomo condannato anche in secondo in grado per omicidio e lesioni personali gravissime, 16 anni e 8 mesi in abbreviato, quale “untore seriale”, reo, nella consapevolezza di essere affetto da HIV, di avere infettato più donne con rapporti sessuali non protetti, torna a casa dalla famiglia in attesa si pronunci prossimamente la Cassazione.
Lo ha disposto il 30 aprile scorso il Presidente della Corte di Assise di Appello di Ancona con un provvedimento che ha suscitato immediata la reazione della vittima, l’attenzione dei media, l’appello della Procura.
L’ordinanza a mio avviso è ineccepibile eppure un problema esiste.
Ritenuto ridimensionato il rischio questi possa ricommettere i medesimi reati in ragione dei 3 anni già trascorsi in carcere e soprattutto per avere egli abbandonato l’atteggiamento negazionista della sua condizione – “l’Hiv non esiste, è una balla, sono i farmaci che ti ammazzano”, questo all’epoca il suo convincimento – e intrapreso le cure necessarie, si concedono i domiciliari con l’aggravio del braccialetto elettronico e del divieto di comunicazioni esterne.
La criticità consiste nell’avere permesso visite e terapie in ospedale, lo stesso dove pure la donna è costretta a recarsi per le medesime ragioni di cura dell’uomo, quindi i due anche casualmente potrebbero ben incontrarsi.
E’ noto che in attesa una condanna diventi definitiva il carcere è in assoluto “l’ultima spiaggia” tra le misure cautelari, le quali hanno un senso fintanto che esista un pericolo, in questo caso, di reiterazione del reato e più questo scema e più è doveroso attenuare la capacità restrittiva della misura in essere.
Nel disporre la scarcerazione certamente il Giudice ha tenuto conto ex art.284 co.1 bis cpp di dovere “assicurare comunque le prioritarie esigenze di tutela della persona offesa dal reato” nel momento della “scelta del luogo degli arresti domiciliari”, ma forse non del luogo dove l’uomo si recherà per ricevere le cure cui ha diritto, come pure la sua vittima.
Il concetto di “luogo” a mio avviso avrebbe dovuto essere inteso non solo per domicilio, ma anche per gli ulteriori luoghi autorizzati e quindi accessibili al reo, come nel caso di specie l’ospedale Torrette di Ancona.
In verità però non solo al Giudice forse non è stata prospettata la presenza nei luoghi della vittima, ma potrebbe anche dirsi che l’incontro tra i due non espone la donna al rischio di reiterazione del reato di lesioni personali gravissime.
Il problema piuttosto è quello di estendere la tutela della vittima alla sua intimità e al rispetto del suo doloroso vissuto, che solo al pensiero dell’eventuale incontro presso il nosocomio con chi le rovinato l’esistenza, ella non può non sentirsi nuovamente violata e lacerata.
La donna dichiara in video di sentirsi tradita dalla Giustizia, ma ciò non è, sia in astratto, in quanto è prevista la possibilità di appello e la Procura si è subito attivata, sia in concreto.
L’allontanamento dal domicilio all’ospedale va comunicato preventivamente alla polizia giudiziaria e questa ben può svolgere un ruolo attivo nell’esercizio del suo dovere di controllo del reo.
Se però questa attenzione dovesse mancare, allora non sarebbe solo Romina a sentirsi tradita dalla Giustizia, ma tutti noi.
Porto San Giorgio, FM, li 9/5/2021.
Avv. Andrea Agostini